Storia della pubblicità in Italia dal secondo dopoguerra al 1968

Se stai cercando materiale informativo sulla storia della pubblicità in Italia dal secondo dopoguerra al 1968 leggi questo articolo di VF.

18 Giugno 2021 Luca Burei marketing

Benché ricca di spunti, questa materia non è considerata di rilievo: scopri ora perché dovresti conoscerla

In questo articolo vi parlerò della storia della pubblicità in Italia dalla fine della seconda al 1968. Non si tratta di un articolo di approfondimento, quanto piuttosto di un excursus tra le varie leve che hanno caratterizzato la comunicazione durante il più importante periodo economico della storia d’Italia.

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La pubblicità: tra arte e architettura

Ebbene si, la storia della pubblicità in Italia è davvero molto breve: solo 50 anni, ma vi garantisco che sono ricchissimi di trasformazioni sociali ed etnologiche. Tutti noi abbiamo sentito parlare del secondo dopoguerra, de “La Dolce vita” e dalle rivoluzioni del 1968. Ma a molti sfugge certamente la trasformazione radicalissima vissuta in quel periodo dalle varie leve della comunicazione al servizio di una società che da povera e contadina divenne benestante e consumistica.

L’accelerazione inizialmente fu timida, sostenuta al massimo da cartelloni pubblicitari e da qualche messaggio radio: si trattava unicamente di “propaganda” da un lato e promozione della brand awarness dall’altro. Fu solo con l’avvento del mezzo televisivo in bianco e nero che tutto subì un’accelerazione esponenziale: per la prima volta nella storia, il consumatore si trovò a diventare “spettatore”, passivo e ignaro, della comunicazione di massa. Siamo nel 1954 quando RAI trasmette la prima “video notizia” della storia della TV Italiana. Non si farà attendere molto l’approdo dei messaggi pubblicitari che nel 1957 appaiono in una specifica fascia oraria e con il nome di “Carosello”. 

L’italia e la comunicazione d’impresa

Proprio in quegl’anni di “boom economico” la trasformazione sociale fu radicale, si passò in meno di 10 anni da una società povera, poverissima in alcune arre del nostro Paese, a un modello sociale benestante, borghese e spinto al consumo. Non si tratta ancora del “Consumo dell’inutile”, quello che ha caratterizzato il periodo 2005-2018 per intenderci, ma di certo di una importantissima spinta a ricercare di avere sempre di più ad ogni costo. In questo periodo, figlio certamente del periodo precedente, convivono le seguenti leve di comunicazione:

  • Vecchie leve
    • manifesti artistici, quelli dei cartellonisti – ovvero coloro che dipingevano;
    • giornali e riviste;
    • messaggi radio.
  • Nuove leve:
    • le produzioni dei “nuovi” grafici pubblicitari;
    • TV in bianco e nero.

Il motivo della trasformazione è da ricercarsi nell’arrivo in Italia, a Milano nello specifico, delle prime agenzie di comunicazione internazionali. Olandesi, americani e inglesi approdano in Italia ad insegnarci che esiste un nuovo modo di fare business e con esso anche di comunicare. Dapprima fu il turno di “Lever International Advertsing Service di Unilever”, poi fu quello della “J.W. Thompson” ed infine della inglese “CPV”.

Il merito di queste vere e proprie “aziende della comunicazione” fu quello di introdurre nel Paese un nuovo modello organizzativo, già sperimentato nei paesi di origine. Non più un esercizio di stile, ma una nuova comunicazione che considerasse primaria la rispondenza tra gli obiettivi di crescita del cliente e la gestione sinergica di tutte le leve della comunicazione pubblicitaria. Arrivarono, dunque, anche in Italia nuove figure d’agenzia come il account executive, e nelle aziende italiane più illuminate approdarono i primi marketing manager e marketing director.

In questa era preistorica della comunicazione d’impresa l’Italia conobbe nuovi concetti: fu il turno del coordinato aziendale, del concept pubblicitario e del brief del cliente. Non solo, nacque in questo periodo anche il concetto di grafica pubblicitaria: punto di incontro tra arte pittorica e architettura, luogo in cui le due materie si fondono con l’idea pubblicitaria, con il concept. Furono propri i giovani di “Campografico”, storica agenzia italiana di grafica, a definire la grafica pubblicitaria quale studio della “Architettura della pagina” a sottolineare il rapporto atavico e imprescindibile tra il segno grafico – creatività – , il suo peso in pagina – architettura – e il valore semantico – marketing.

In tal senso ricordo il mirabile lavoro di Carboni per RAI, Olivetti e Pirelli che, per prime, innovarono il processo comunicativo aziendale. Tra i rappresentanti mirabili di questa nuova materia ricordo Achille Castiglioni, Giovanni Pintori, Max Huber e Bruno Munari, ma anche Fortunato Depero, Dino Villani e Giorgio Tabet.

storia della pubblicità in Italia

La nascita della pubblicità nella TV in Bianco e nero: Viva Viva il Carosello

Non si tratta, come abbiamo detto di sola grafica pubblicitaria, ma anche di TV. Con il consueto ritardo, anche in Italia approda l’intrattenimento televiso: è il 13 gennaio del 1954 quando RAI lancia la prima trasmissione di massa. Solo nel 1955 con il gioco a premi “Lascia o raddoppia”, condotto da Mike Buongiorno, la TV italiana si avvicina al mondo americano e diviene un fenomeno comunicativo di massa: i dati di ascolto subiscono una impennata imprevedibile e richiamano l’interesse delle principali agenzie di comunicazione.

Il 3 febbraio del 1957 nasce la prima forma di pubblicità televisiva italiana: approda sullo schermo il Carosello. Non si tratta del classico spot pubblicitario, già ben testato in America e in Gran Bretagna in formati di 30′ e multipli, ma di una forma nuova di comunicazione televisiva che strizzava l’occhio alle aziende produttrici da un lato e dall’altro era accettata anche dagli oppositori della pubblicità in TV.

La formula di questo innovativo progetto pubblicitario televisivo prevedeva uno spettacolo di circa 40′ seguito ada un mini-spot di 30-35 secondo al massimo. Lo spettacolo era prevalentemente un gag o una canzone, mentre nello spot vero e proprio era consentito citare la marca o il prodotto per non più di 5 volte in totale. La cosa NON fu compresa dalle agenzie straniere, ma l’Italia si sa è un Paese strano con le sue regole.

Proprio per vedere e regolare i messaggi pubblicitari televisivi furono creati due organi specifici: rispettivamente la SIPRA e la SACIS; quest’ultima anche con ruolo di censura di contenuti arbitrariamente considerati inappropriati. Si, avete letto bene: per la gioia della agenzie di comunicazione NON ESISTEVA un codice scritto, ma solo la soggettività di chi era chiamato a decidere cosa andava bene e cosa no.

La forza inaspettata del Carosello

Come abbiamo avuto modo di dire questa forma di pubblicità televisiva in salsa italiana era organizzata in due tempi: spettacolo e spot. Se questa volontà inizialmente non compresa dagli stranieri sembrò il solito vezzo italiano, in realtà ciò si rivelò essere assolutamente un fattore di successo. Lo spot non fu affatto posto su un livello secondario, al contrario su sorretto ed enfatizzato proprio dal momento di spettacolo.

Fu così che attori e prodotti sconosciuti divennero noti all’intero Paese: in questo turbino di ritrovata notorietà entrarono anche i grandi del teatro e del cinema italiano, basti citare o Dario Fo e Franca Rame per Agipgas nel 1957 o Eduardo De Filippo per Illy Caffè nel 1959.

Anche la scelta di chiudere i programmi diurni con il carosello sembrò agli stranieri “no sense” come si direbbe oggi, ma in realtà anch’essa si rivelò vincente. Contribuì a creare affezione a marchi e prodotti anche tra i più piccoli, al punto da portare le grandi aziende della comunicazione a produrre spot in forma di cartoni animati: celeberrimi furono gli spot per Lagostina, Carmensita per Bialetti e l’ever green Calimero per il detersivo Ava Bucato ad opera dei fratelli Pigot nel 1961-62. 

Con la crisi del 1968-1969 termina anche questo periodo di boom economico. Ma ne parleremo in un prossimo articolo.

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